venerdì 26 dicembre 2014

Buonanotte

Infondo è stata una bella giornata. Infondo è stata una bella giornata? Dove mi trovo coi pensieri? Vorrei concentrarmi su qualcosa in particolare ma sono così distratto da qualcosa, rapito.. nemmeno le mie mani non sanno che sensazione provare; la destra è fredda, la sinistra è calda. Indecise pure loro.
Per non tenere gli occhi chiusi fra quattro pareti, li ho portati in riva al mare ad aprirsi fra le onde, le dune di sabbia, il vento incessante che mi muove i vestiti.
Cammino sulla riva, scalzo, per il solo gusto di farlo; in mare la luce di una lampara mi indica la via: andar via.
E allora penso al viaggiare, "parti, cambia aria per un po'!" sembra una frase sensata.
Dolcemente viaggiare.
Forse più che dolcemente, velocemente.
Forse più che viaggiare, fuggire.
Cerco uno scoglio dal quale poter guardare dall'alto il mare e lui scappa nell'orizzonte: così lontano fuggire?
Mi vorrebbero trattenere i ricordi, il peso delle lacrime versate qui.
Sorge il sole e inizia a uscirmi l'ombra da dentro, trova il sole e si stende a terra per lui in segno di resa.
Anche oggi vivrò, finché sole ci sarà, poi di nuovo morirò al dire "Buonanotte".
Ma anche domani il sole sorgerà.

venerdì 19 dicembre 2014

Sopravvivere

Te ne sei andata senza troppe parole, o forse ti ho lasciata andare io senza averti detto abbastanza. Te ne sei andata che ti tenevo la mano prima per tenerti un altro attimo con me, poi per non farti voltare, poi per non farti girare l'angolo di via Oberdan, ma quando ti ho urlato dietro mi hai guardato e ti sei girata. E poi mi sono accorto di avere la mano tesa nel vuoto quando mi ha marciato sul viso la prima di tante lacrime, che una ne tiravo via da un occhio con una mano che due ne cadevano dall'altro.
Hai mai visto i miei occhi cambiare colore?
I miei ti piacevano perché il grigio è raro come colore, e poi cambiano e cambiano per ogni raggio di luce che li tocca. Verdi, azzurri, celesti, color del cielo e color del mare, ma hai mai visto i miei occhi farsi rossi attorno e neri come la pece dove invece prima si apriva il cielo? Come un fazzoletto di cielo quando piove forte ed è notte.
Non ho aspettato la pioggia di qualche giorno dopo per non piangere da solo, mi sono seduto nell'autobus numero 3 che passò quando te ne andasti e mi chiusi a riccio nel mio sedile con la testa fra le gambe e abbandonato a metà sul finestrino, guardando fuori in cerca del mare. Mi si gelavano le mani a toccare le lacrime tanto quel giorno come adesso a scrivere, che mi sembra che le lacrime di quel giorno mi siano ritornate in forma di parola. Tremo come quel giorno e come da quel giorno sono qui, ora, bloccato fra il vivere ed il sopravvivere, perché senza te mi mantengo soltanto ancorato ai bordi della vita, ci cammino accanto, sbircio il limite e ciò che c'è oltre senza corde e sicurezze.
Mi sei passata accanto e mi hai lasciato respirare per un attimo l'aria che tira nella vita con uno sguardo e un silenzio che sapeva più di mille parole e promesse infrante.
Poi l'apnea, di nuovo, quando mi hai voltato le spalle con le tue amiche.
Parole dette un poco alla volta, lentamente, ho provato a lasciarti di me, ma che fine hanno fatto?
Sei ovunque. Mi circondi con i ricordi che ho di te e ora è l'unico modo per sentirmi abbracciato, in qualche modo.
Ho guardato la tua casa come un pazzo, in lacrime, per non so quanto. Sognavo di vedere la luce della tua camera piegarsi intorno a te e lanciare un'ombra sulla tenda della tua camera, vederti affacciare dalla finestra e urlarmi "Sali! Che ci fai fuori, al freddo?". Ho sognato ad occhi aperti mille varianti di quella scena che mi ero costruito in testa, ma ovviamente quella sera non ti ho vista. E quando ho sentito i denti battere dal freddo e le mani morte, un randagio mi ha preso con se e lo ho seguito per un tratto di strada, lui a passi piccoli ma svelti, io a ritmo più lento ma a passi più lunghi.
Passò tempo dall'ultima volta che schiusi le labbra ad una parola, quel giorno, quando poi incontrai un amico che mi prese al volo una lacrima dicendomi "Facciamo un giro".
Parlammo e cercai anche di ridere come nulla fosse mentre parlavo di te, che intanto ogni volta che dicevo il tuo nome mi sentivo come se stessi parlando di una dea.
Ora guardami.
Indosso i miei pensieri, li porto dal mio interno al mio esterno per te, separandoli accuratamente dal cuore, dove fino ad ora erano stagnati. Ho scucito ogni fibra che li legava al cuore e li ho intrecciati come un bel vestito da sera da regalarti, li ho stanati dal loro nascondiglio e li ho stesi al sole ad asciugarsi.
Non ti ho mai detto tante cose forse perché ero troppo concentrato su quel senso di pace che provavo con te e che non ti dicevo. E che avrei dovuto dirti, invece...

Ti amo. E ti aspetto.
E in testa ho una parola, "speranza".

domenica 16 novembre 2014

Addio e grazie per tutto il pesce

"Volevo solo ringraziare tutti quelli che mi hanno seguito fino a qui, anche se ora sono solo. Volevo dare un abbraccio a tutti quei ragazzi e a tutte quelle ragazze che mi hanno permesso di arrivare qui adesso. Vorrei dai un altro bacio a mia moglie Anna e a mio figlio Paolo; chissà quanto tempo sarà passato prima che sentiate questo messaggio.. Ho ancora poco tempo e.. Oddio, non si è mai abbastanza preparati a queste cose.. Andiamo, quante possibilità c'erano che accadesse tutto questo? Una su un miliardo? Sarebbe stato più facile vincere alla lotteria!
Anna, amore mio.. quanto tempo sarà passato da quando ti ho stretta l'ultima volta? Giorni, mesi, anni? Quante rughe avrai visto comparirti in viso? Quante lacrime lo avranno solcato? Quanti baci non ci siamo mai scambiati? Te ne mando un ultimo, sperando che tu lo riceva, un giorno.. Chissà se adesso accanto a te c'è un altro uomo, in quel caso spero per lui che si comporti bene con te o se la dovrà vedere con me, se è vero che esiste un Dio da qualche parte! Anna, amore.. se stai piangendo asciuga le lacrime, io sto ridendo e sto per andarmene per sempre, mi sa che sarei io qui ad avere un motivo per piangere!
Paolo, piccolo mio, quanti anni hai adesso? Vuoi ancora fare lo stesso lavoro del tuo papà? Te lo dice uno del settore, la paga sarà anche buona, ma non c'è nulla di così bello come la gravità..  Avevo fatto delle belle foto che volevo mostrarti, sai, sarebbero andare anche sui giornali forse; la Terra è ancora più bella da quassù. Forse non lo ricordi, ma quando eri piccolino ti facevo ascoltare sempre una canzone di David Bowie, Space Oddity, e quando mi chiedevi chi fosse "Major Tom" io ti rispondevo sempre "spero non io!" ridendo. Avevi imparato a parlare così in fretta... Il mio piccolo genio. Adesso studi? Lavori? Hai una ragazza? Oh non ti preoccupare se non la hai, o se fra voi è finita: lo sai che prima che ci fidanzassimo, tua madre ed io quasi ci odiavamo?
Amici miei tutti, mi siete stati amici fino alla fine se avete sempre tenuto a mente il mio nome come io sto facendo col vostro prima di andarmene. Gianluca e Simone, giocate ancora a calcio? Marco e Alice, alla fine avete deciso che farvene dei vostri sentimenti o state ancora cercando di capire se siete fatti l'uno per l'altra? Quante sere spese a cercare di farvi andare d'accordo...! Luca, Giovanni, Paola, Francesca, Chiara, Gabriele.. mi pare di potervi sentire tutti vicino a me, stretti, ora che l'ossigeno sta finendo.
Ho speso tutte le ultime energie di questa tuta per mandare questo messaggio radio, sperando che vi arrivi, un giorno... Mi sento come se stessi mettendo un messaggio in una bottiglia da affidare al mare!
Mare... come mi manchi, anche tu! Ti ho sempre guardato come fosse la prima volta, con occhi pieni di stupore per ogni tuo riflesso! Quante nuotate mi sono fatto fra le onde che increspavano il tuo splendore! La tua pazienza di andare e venire sulla riva mi ha insegnato a saper aspettare e la tua forza distruttrice mi ha insegnato a prendermi ciò che mi spetta senza indugi. Maestro di vita mi sei stato... Saluto anche te.
Saluto tutti.
Grazie a tutti per esserci stati o per esservene andati; in qualche maniera, tutto e tutti mi avete insegnato qualcosa e spero di avervi insegnato qualcosa anche io.
Do un bacio per quante stelle ci sono nell'Universo a ciascuno di voi.
Inizia a fare davvero molto freddo, sapete?
Vi giuro che sto sorridendo mentre esalo l'ultimo respiro.
Addio e grazie per tutto il pesce."

Poi chiuse gli occhi, sorridendo.

domenica 26 ottobre 2014

Correre

Camminavo per le strade della mia città con due buste di plastica alle mani ascoltando un poco i miei pensieri.
Che caldo che faceva; e dire che era Ottobre!
Sul marciapiede stretto cercavo di non colpire i radi passanti con le buste piene di spesa mettendomi da parte e facendoli passare; le macchine passavano più o meno silenziose per la strada; la risata di un mezzo ubriaco mi raggiungeva da lontano, era davanti a me nel bar dell'angolo.
Un paio di pensieri neri volteggiarono così a caso nel mio cervello e si spezzarono le ali sbattendo contro i miei solidi e ben definiti buoni propositi per la serata. Un motivetto a caso muoveva la mia gola e forzava la bocca ad un lieve sorriso.
Vicino ad un negozio di abiti mi prese un indescrivibile senso di vuoto che mi fece fermare per un attimo il cuore.
Fermandomi un attimo potei sentire amplificato tutto il mondo scorrermi attorno; i passanti mi davano spallate e mi urtavano senza troppi problemi, le auto stridevano e divoravano voracemente i metri d'asfalto davanti a loro, la risata dell'ubriaco era l'assordante tuono che si scaricava qualche decina di passi lontano da me.
Mi prese un assurdo senso di straniamento nel quale potevo quasi girare gli occhi all'indietro per guardarmi dentro, per dare uno sguardo ai miei pensieri, ai miei turbamenti, alle mie idee; potevo vedere le mie gambe tremare e le buste di plastica scivolarmi dalle mani, la fronte imperlarsi di sudore e gli occhi farsi larghi anche alla forte luce delle tredici.
Un insostenibile bisogno di correre mi attanagliò e mi si appese al collo togliendomi il fiato.
Io dovetti correre per non so quanti metri senza potermi sentire io, con la testa fuori dalla testa, gli occhi fuori dalle orbite, il fiato fuori dai polmoni. Sentii tutto l'ordine che avevo fatto nella mia testa venire disfatto in un attimo; ripresero il volo anche quei pensieri che ora non so dire che fino a poco prima erano rimasti con le ali tarpate, si misero a rovinare tutto quello che mi era costato lunghe riflessioni, mi entrarono negli occhi e mi resero cieco.
Quando mi fermai non avevo più fiato, la fronte era bagnata. Mi guardai le mani appena mi resi conto che mi facevano male e scoprii con mia grande sorpresa che la destra sanguinava un poco; nel mio ultimo istante di lucidità avevo serrato così tanto i pugni per non perdere le buste che l'unghia del medio mi aveva leggermente ferito.
Mi guardai intorno disorientato e dopo qualche secondo realizzai di essere arrivato quasi dall'altra parte del quartiere mentre correvo, così camminai ancora un poco per raggiungere la fermata del 3, non ce la facevo a tornare a casa a piedi.
Mi abbandonai sulla panchina della fermata in attesa dell'autobus e mi sentii la calma tornar dentro.
Un vento leggero mi sfiorò appena, ma fu quanto bastò per farmi sentire meglio. Che caldo che faceva; e dire che era Ottobre!

venerdì 26 settembre 2014

Cadere nel sonno

"Ti sei mai sentito cadere nel sonno?"
"Sì, una brutta storia"

Cammini, o corri, magari sei seduto, forse stai parlando con qualcuno, leggi, ridi o piangi, guardi una farfalla o forse non hai tempo scappi e non c'è posto dove nascondersi.
Se fuori fa freddo, dentro c'è tepore e non vuoi svegliarti, ti raggomitoli nel sogno e lasci che ti coccoli.
Sei seduto, immagina, e stai bevendo un caffè.
Una luce chiara ma comunque ben dosata filtra dalla finestra della tua stanza, sei davanti al computer mentre lavori.

lunedì 18 agosto 2014

Solo un omonimo Tibbets

Il tempo è sereno, nuvole non se ne vedono per chilometri e chilometri, in cielo.
Ho nascosto con finta rigidità da militare la mia paura. Mi hanno affidato questa missione per le mie capacità, per la mia destrezza alla cloche...
Per loro ero perfetto alla missione.

Ho aspettato una settimana prima di poter salire sull'aereo più cattivo del mondo, il più misantropo, il diavolo con le ali.
La settimana peggiore della mia vita.
Mentre aspettavo di ricevere l'ok per la missione, riflettevo su cosa stavo per fare. Pensavo senza posa per ore e ore, sembrava che il tempo si fosse fermato intorno a me per permettermi di capire sempre più a fondo.
Fredde relazioni scientifiche, termini impronunciabili, conclusioni assurde da comprendere appieno... non pretendevo di capire tutto, infatti non ho capito molto. E quello che ho letto mi ha solo confuso di più. Passò la settimana e arrivò il momento adatto per salire sul mio aereo che ho sempre tanto amato. Ieri gli ho dato il nome di mia madre, sentivo di doverle qualcosa nella mia vita, qualcosa di importante, grande, maestoso; volevo che il suo nome potesse bussare al Paradiso per chiedere pietà della mia anima.

Quella settimana mi aveva cambiato. Solo, completamente solo, facendo finta che il mondo fuori dalla mia stanza non esistesse, riuscivo a comportarmi normalmente, a pensare razionalmente.
Fra la gente che non sapeva quello che io sapevo mi sentivo a disagio, nascondevo le lacrime a fatica, vedevo tutti morti, i corpi dilaniati.
Sono arrivato davanti all'aereo e ho letto il nome che gli ho dato. E me ne sono vergognato. Non sfiorerò Dio, o se lo farò sarà perché mi colpirà con un calcio. Il capitano rispiega l'ultima volta il nostro compito, io non riesco a concentrarmi sulle sue parole; la mia attenzione è tutta volta al trattenere le lacrime che ancora mi restano in corpo e al mantenere la sicurezza del militare.
E ora sono qui.
Fa caldo due volte, stamattina.
Una volta perché è Agosto. Chissà che starà facendo ora mia moglie, starà giocando con nostro figlio? Starà sistemando i fiori in giardino?
La seconda volta fa caldo perché alla fine, l'ho fatto. Ho premuto il pulsante, ho ceduto ai miei superiori, ho lasciato che mi entrassero nel cervello, ho dato loro il tacito consenso per pestare i miei pensieri, cancellare le mie idee, torturare il mio volere. Sembrava che in cielo ci fossero due splendidi soli estivi, forti, caldi, abbaglianti.
Prima di virare e fuggire come un codardo ho guardato dietro di me.
L'urlo più umano del mio corpo, anzi, disumano, mi voleva abbandonare. Per la radio avrebbe corso e raggiunto i miei superiori, ma loro non hanno più orecchio né per l'umano che per il disumano. Sono uomini-macchine, con circuiti e bulloni al posto del cuore e del cervello... vuoti.
La gente muore, non lascia nemmeno traccia della sua esistenza. Sui muri restano delle ombre nere, sagome dimenticate da chi non ha nemmeno avuto il tempo di realizzare che stava morendo. La morte è così rapida che le ombre non riescono a tenere il passo dei corpi a cui sono destinate.Restano sui muri che fanno spallucce e non sanno più a quali piedi attaccarsi per continuare a muoversi. Così restano immobili.
Case vuote, quelle che restano ancora in piedi, tristi e svuotate dei bei rumori della vita. Tante altre, invece, danno la loro parte per formare una distesa enorme di nulla e desolazione più assoluta. Ci siamo evoluti per millenni per arrivare al punto in cui basta meno di un minuto per cancellare tutto. Il tempo di premere un bottone e di sentire il fischio della bomba che cade.

Quello che parla, signori, non è il Paul Tibbets che ha premuto il tasto senza remore. Sono il suo lato oscuro, paradossalmente; sono la sua parte buona, quella che ha cercato di non far accadere tutto ciò, la parte che l'educazione militare ha solo represso, ma non ucciso.
Oggi, 6 Agosto 1945 ore 8:15 sono diventato un assassino della peggior specie.
Da qualche parte in America vale ancora la pena di morte ed io, da solo, il Paul Tibbets che l'educazione militare ha messo in carcere, mi ci condanno senza possibilità di ripensamento. La sedia elettrica mi avrà dopo che avrò trascritto le mie ultime volontà.

Lascio in eredità a questo mondo il mio ultimo racconto, che è anche la confessione di ciò che ho fatto contro l'umanità, e lascio a voi questo corpo, quest'altro Tibbets che io disconosco.
Lascio in eredità al mondo l'uomo che più disprezzo e che più mi disgusta. Lascio a voi l'uomo, se di uomo ancora si può parlare, che dirà di non aver mai avuto ripensamenti riguardo quest'alba rossa, mi tiro fuori da questo cervello lobotomizzato, abbandono qui questo cane che voi chiamerete sui giornali "Paul Tibbets".

Firmato "Solo un omonimo Tibbets"

Un momento dopo aver virato e acquistato velocità, dopo aver sganciato il Little Boy, il colonnello Paul Tibbets sentì un acuto dolore alla testa, si toccò la tempia destra con noncuranza e proseguì con la manovra di allontanamento.
Per un brevissimo attimo, poco prima di avvertire quel dolore lancinante ma davvero molto poco persistente, sentì nella sua testa delle parole pronunciate con la sua voce con tono misto fra rabbia e disperazione, poi quel dolore intenso ma forte come una scarica elettrica. Poi nulla di simile gli accadde mai più in vita sua.
Il colonnello rientrò alla base insieme alla sua squadra e non si disse mai dispiaciuto per quello che aveva appena fatto.

Era un male necessario.

domenica 27 luglio 2014

L'ultimo urlo

Mi sono chiuso nella mia camera da letto, ho chiuso la chiave e l'ho messa in tasca. Ho messo la scrivania davanti alla porta; Dio, fa che basti almeno a darmi un poco di tempo in più.
Cadendo per le scale credo di essermi rotto il braccio sinistro; mi ha tirato giù con forza mentre cercavo di salire al primo piano per rifugiarmi nella mia stanza. Nella caduta gli sono finito addosso e l'ho colpito in testa; forse ha battuto contro un gradino ed è svenuto, o forse l'ho ucciso..
Quel bastardo mi ha preso il telefono mentre cercavo di chiamare la polizia, sono solo, solo cazzo!

domenica 27 aprile 2014

Marea

Successe che, mettendo in fila un piede davanti all'altro, si ritrovò davanti allo specchio del salotto. Lo specchio dominava l’enorme stanza di quella vecchia casa, sia per età che per maestosità.
Era l’oggetto che meglio rappresenta l’idea di barocco con tutti quegli intarsi, lo sfavillante legno dorato…
Due grandi finestre lasciavano che le prime luci del mattino entrassero in quella stanza per illuminare le foto sbiadite di un’altra età e i mobili di legno ormai provati dal tempo. Anche la carta da parati verde oliva e dorata godeva di quelle luci, peccato però che Alessandro avesse deciso che non avrebbe  avuto ancora vita lunga, fino a quando ci fosse stato lui in quella casa.
Lo spirito combattivo e la calma, l’angoscia e la serenità, la voglia di urlare e il senso di pace con tutto…
Lo specchio restituiva però, dell’immagine interiore di Alessandro, solo lo spettacolo d’un trentenne assonnato che fissava il suo riflesso cercando di riconoscersi sotto quei capelli scompigliati e dietro quello sguardo assente.

martedì 4 marzo 2014

Arte

Semplicemente tutto finisce con te, in salotto, accomodato sulla tua bella sedia di legno mentre sogghigni con espressione innaturale. L'opera è piaciuta.

Forse dovresti uscire a prendere una tela nuova.
Hai giusto un'idea che ti frulla in testa...

domenica 26 gennaio 2014

L'uomo del faro

Nessuno chiamava mai per nome l'uomo del faro.
Era quasi sempre solo, ma non gli dispiaceva.
Ormai aveva fatto suo il silenzio rotto solo dal rumore del faro che ruota.
Era rilassante.
Un movimento periodico, un suono appena udibile.