mercoledì 1 aprile 2015

Attraverso la notte

Quando le luci della città iniziano a spegnersi una dopo l’altra, da qualche parte un nottambulo vorrebbe fare lo stesso, ma proprio non ce la fa, così è costretto a muoversi, fare qualcosa, pur di non cedere alla noia che comunque lo lascerebbe sveglio. Così, delle ombre vagano solitarie per le strade, silenziose, si comportano come turisti al museo e osservano meravigliati, camminando lentamente, la grande tela che si allarga dove l’occhio arriva e mira. Vagano finché non è così notte tarda da divenire mattina presto, spesso vedono l’alba, brindano col sole che sorge con un sorriso, o un pensiero che gli lanciano contro per vederlo risplendere sotto la luce dei suoi raggi freschi sull’orizzonte davanti a loro.
Alessandro quella notte non aveva dormito per nulla; dopo essersi steso nel letto ed essersi rivoltato due o tre ore nelle coperte senza trovar pace, aveva deciso di mettersi qualcosa e uscire e camminare un poco sotto la luce dei lampioni che ormai erano diventati il suo sole di plastica da qualche tempo a questa parte. Mise un jeans ed una maglia di lana che coprì con una giacca a scura e pesante pescata a caso dall’armadio e uscì di casa dando un’occhiata all’orologio davanti all’ingresso: le due di notte. Scese per le scale in silenzio per tutti i tre piani e quando mise piede in strada lanciò il suo sguardo ovunque il suo collo gli permettesse. La vita del giorno è distratta, rumorosa, sta in qualche cartaccia lasciata per terra e calpestata, in qualche bicchiere vuoto ben nascosto sotto la luce di un lampione, nelle case piene di buio tutt’intorno; la vita della notte sta nel guardare ciò che il giorno rende accecante col suo sole lontano nello spazio che splende a milioni di gradi. Forse è meglio una stella a duecentoventi volt.
Dopo essersi seduto al centro della strada dove poche ore prima persone di tutte le età camminavano e chiacchieravano solo per poter invidiare meglio quelli che riuscivano a dormire quella notte, andò a mettere i suoi pensieri sotto l’arco che gli alberi sul lungomare formavano lievemente sospinti dal vento e iniziò a canticchiare. Fra un passo e l’altro, Alessandro fu corroso da una domanda dolorosa: cosa sognerei se potessi dormire adesso?

 Si appoggiò con una spalla al palo che segnalava la fermata dell’autobus e aspettò che una linea qualsiasi si fermasse e aprisse le portelle, la destinazione era ben poco importante: voleva solo del tempo per poter pensare a quella domanda. Cosa sognerei se potessi dormire adesso?
 Dopo una ventina di minuti a pensare a quella domanda e maledire i trasporti pubblici si rese conto che erano le tre e che a quell’ora gli autobus non circolano, così dissimulò l’imbarazzo con la folla di foglie sparse a terra come potessero deriderlo e scese sulla spiaggia appena a due passi dal lungomare. Come un invitato che non sa quando è il momento di lasciare la festa, l’inverno non voleva lasciare spazio alla primavera, si era accomodato con molta risolutezza fra le vie della città, fra gli alberi che cercavano il sole tutto il giorno cercando di spostare le nuvole muovendo le frasche al vento. Alzava la voce e rideva forte scuotendo le spalle ad Alessandro, che intanto aveva abbottonato il giubbotto fino al collo; per il gran freddo che il suo tocco portava e non se ne andava, gli restava dentro, sopra il petto, sulle spalle, nella pelle. Alessandro scese i gradini di marmo un po’ consumati e sporchi facendo attenzione a dove metteva i piedi perché la luce dei lampioni iniziava a scemare e quando arrivò a metter piede sulla sabbia fredda si sfilò le scarpe, fece una piccola piega ai pantaloni e si avventurò a piedi nudi, poco sorpreso del freddo che dai piedi gli saliva alle gambe, verso le barche attraccate al molo lì vicino. Affondando piedi nella sabbia sentiva tutto il freddo del mare di cui ai pesci del mare non doveva importare proprio nulla, difesi dalle correnti d’acqua più calda. Si avvicinò alla riva e si sedette sulla sabbia a scegliere le pietre più lisce e levigate da poter far rimbalzare sull’acqua, occupò così una decina di minuti, cercando, lanciando, contando. Provò a sentire le parole della mamma nelle onde, si stese per raccoglierle dal bagnasciuga che gli lambiva i piedi quando qualche onda più audace si spingeva verso terra.
Non sentì la sua voce chiamarlo per nome, non la sentì rimproverarlo per essersi coperto troppo poco quella sera, non la sentì gridargli contro di andare a letto perché era tardi. La prima volta che Alessandro aveva provato la tortura dell’insonnia era proprio dopo la morte della madre; voleva poterla almeno sognare, crederla ancora viva, in quei frammenti di vita diurna che nella notte si mischiano coi ricordi, le paure più intime, i desideri più celati. Non gli restava che restare sveglio e rivolgerle qualche pensiero tenero per tenerla viva nella sua memoria. Ogni uomo ha la sua grande paura, e più grande è l’uomo, peggiore è la paura; Alessandro non voleva dimenticare. Combatteva ogni giorno contro la paura di dimenticare il testo di una canzone che non sentiva da tempo, dimenticare dove aveva lasciato le chiavi di casa, il nome di una vecchia conoscenza, un dettaglio d’infanzia… Ricordarsi di essere Alessandro, ricordarsi della sua vita, era ciò che lo rendeva Alessandro, quell’Alessandro in quel momento, in quel luogo, con quella storia alle spalle, con quella storia davanti, co quel momento di ansia, smarrimento e insonnia fra le mani. Era la madre ad avergli messo i testa la paura di dimenticare; la vide sparire e farsi sempre più sottile sotto le coperte sempre più spesse, poggiando la testa su un cuscino che le fece dimenticare sempre più cose, fino a farle dimenticare del proprio figlio. Provò fortissimo a sentire la voce della madre nelle onde, ma o forse il cielo e il mare si toccano troppo lontano all’orizzonte, o forse lui non fu capace di ascoltare sua madre nemmeno quella notte di Marzo.
Prese la testa fra le mani e si mise a guardare due pescatori, forse padre e figlio, che non molto distanti, iniziavano a preparare l’attrezzatura per la pesca. Per noia si avvicinò a loro e fu terzo fra cotanta famiglia. Diede anche lui una mano a preparare la barca, così, fra una nassa da pulire e una rete un poco aggrovigliata da riordinare, i tre parlavano fra loro in dialetto del più e del meno, ridevano, scherzavano, dimenticandosi dei loro problemi: insonnia e crisi. Anche i pescatori si erano ridotti a non dormire la notte in attesa del giorno: poco pesce, troppe bocche da sfamare. Anche la loro era di troppo a volte, così la dovevano lasciar vuota per riempire di più quelle della famiglia.
Spinsero la barca in acqua dopo una buona mezz’ora di lavoro e chiacchiere che proseguirono mentre prendevano il largo. Con un clandestino a bordo i remi si facevano più pesanti, ma non di molto, nelle spalle e nelle braccia allenate dei due pescatori, ma Alessandro si offrì comunque di sostituire il più giovane. Dopo aver fatto girare la barca due volte su sé stessa Alessandro si mise a ridere coi suoi compagni e lasciò di nuovo il remo al ragazzo, così tornarono a procedere dritti, anche se con qualche scossone come su una mulattiera dei mari. Andavano lontano, oltre il mare che la vista esclude dalla riva. Andando verso il sole, spezzando le onde contrarie, ad Alessandro pareva di andare a prendere il sole per i capelli e portarlo a forza sul palcoscenico delle cinque del mattino.
Alessandro capì tutto da sdraiato, mentre ascoltava un racconto d’infanzia del più vecchio dei due pescatori. Gli occhi si facevano pesanti.
Capì le stelle, capì la terra, capì i pesci, il mare,  l’amore, il capire, era tutto legato; poi l’alto ed il basso delle onde si fecero notte negli occhi di Alessandro, che finalmente trovò la forza di abbandonarsi al sonno giunto con l’alba della prima vera primavera che apparve quell’anno. Con l’alba, Alessandro perse anche ciò che il dormiveglia gli aveva detto: le stelle e la terra tornarono gli opposti, i pesci tornarono in mare, il capire abbandonò l’amore, ma Alessandro prese a sognare abbastanza forte che il mare, sotto, s’agitò intuendo il tesoro che teneva in sella e lo lasciò andare oltre di sé, dove le stelle e la terra si baciano, dove i pesci camminano sulle acque e dove finalmente si capisce l’amare.