domenica 24 settembre 2017

Meriggiare pallido e assorto

Il silenzio tutto attorno, solo l'infrangersi delle onde sul bagnasciuga. In una stasi fotografica, nel silenzio della riva, stando stesi era possibile udire i granelli di sabbia rotolare e scorrere l'uno sull'altro. In quella calma piatta, niente tutt'attorno, una distesa di solitudine. Il silenzio imbottito regnava assoluto, il fragore delle lievi onde era come uno statico di televisore.
Un gabbiano, intanto, plana leggero a mezz'aria; è un attimo, scompare, eccolo di nuovo, ora mangia. Viene a scrollarsi l'acqua dalle penne sulla riva, zampetta goffo sulla sabbia rovente e poi, finito il suo pasto, torna a caccia.

Poco distante, Alessandro fa l'angelo di sabbia nel dormiveglia e la sabbia gli finisce tra i capelli lunghi e neri. L'ombra della scogliera è corta e netta, chirurgica, sulla sabbia intorno.
Constatata la sua natura inesorabilmente umana, Alessandro si mise seduto a gambe incrociate; persino l'angelo di sabbia che aveva disegnato aveva le ali tarpate. Stette fermo così, in religioso silenzio, per un tempo che sembrava interminabile.

Non molto lontano da quel teatro di posa, al riparo dal sole cocente, un gruppetto di granchi faceva la spola da un nascondiglio all'altro ricavato nella scogliera. Come una colonia di formiche, i piccoli corazzati seguiva tracce e percorsi ben definiti. Più in basso, sempre su quel versante della scogliera, delle piccole patelle si lasciavano crescere e nutrire dal continuo flusso delle onde. Ancora, un paguro cambiava dimora proprio lì accanto.

La vita gli era tutto intorno, ma Alessandro era lì, seduto ed immobile, convinto della sua solitudine. Beata ingenuità. Mentre lui era lì fermo, non meno di mille animali si contendevano una sola fonte di cibo, un riparo, la sopravvivenza; Alessandro se ne stava fermo, con la schiena e i capelli pieni di sabbia, immobile mentre tutto intorno a lui la vita, semplicemente, accadeva.

Alessandro stava fissando il mare dietro le sue lenti da sole scure, cercava di studiare il riflesso delle onde e il loro ritmo incessante. Ogni tre onde corte, concluse, ne giunge una più lunga e fragorosa. Piano piano, ciascuna onda più piccola spostava i granelli di sabbia di poco; quelle lunghe, più decise, erano più voraci. Lentamente quella spiaggia sarebbe scomparsa, mangiata dal tempo e dal mare.

Sfidando la gravità, Alessandro si mise in piedi e stette ancora qualche secondo fermo, in silenzio. Una rotonda di Palmieri tutto intorno: il mondo di ogni giorno, le auto, le incombenze, la spesa da fare, l'abisso di acciaio e grigiore in cui ogni giorno gli occhi e il corpo sono costretti sembravano in un altro universo, ora, ad Alessandro. Si era portato lontanissimo da quell'inferno, scollegato da ogni rete. In solitudine, solo così, Alessandro poteva essere sé stesso, senza essere connesso con niente e con nessuno -cosa che inevitabilmente lo faceva sentire invaso, contaminato, imbastardito-.

Con indosso solo il costume, riposti sulla riva gli occhiali da sole e la maglietta, Alessandro si diresse lentamente verso la riva. Un brivido istantaneo gli salì lungo la schiena, siccome il suo piede era andato incontro all'onda lunga. Piano piano si immergeva. Quando l'acqua fu alle ginocchia, allora si distese senza esitazione.

Il tempo si immobilizzò. I capelli ondeggiavano in acqua, perdevano la sabbia che avevano raccolto; il costume svolazzava come mosso da un vento impercettibile. Un lungo, denso, brivido gli camminò a passo d'uomo sulla schiena, lungo le braccia, fino al collo, uno stimolo che attivò ogni più piccola fibra del suo corpo, viscerale o scheletrica che fosse. Facendosi precipitare sul basso fondale, Alessandro vide con i suoi occhi la superficie farsi sempre più lontana, inesorabilmente; qualche raggio di luce filtrava tra le onde e faceva risplendere lembi di onde come coriandoli argentei, altri diventavano fugaci specchi o vetri trasparenti. In un collage di luce, colori e realtà, Alessandro cadeva in modo lento e controllato, le braccia più lente del corpo, come in una sequenza al rallentatore di un film d'azione.

Precipitando, Alessandro aveva la sensazione di cadere infinitamente. Toccò con la testa e le spalle il fondale, finalmente, e fu pervaso da un'angoscia straziante, la consapevolezza di dover controllare ogni movimento per non sprecare ossigeno.
Con gli occhi rivolti a quel cielo liquido e luminoso, Alessandro poteva parer morto, invece stava solo guardando le stelle dalla prospettiva dei pesci. Qualche piccolo sarago, coraggioso, si fece avanti per ispezionare quel relitto di carne calda appena arrivato dalla superficie; prese le misure di quella strana creatura, i piccoli esploratori tornarono sulla loro strada con un guizzo rapidissimo. Le scaglie dei rari pesci brillavano tutt'attorno, casuali, come lampi.

Lontanissimo da quella scena, un cavalluccio marino dava alla luce i suoi piccoli, nascosto in una insenatura della scogliera, a largo. Con uno sforzo addominale, ecco ancora altri esserini, tutti identici tra loro, tutti ugualmente spaesati. Luttuoso, il padre già sa che meno della metà di quei neonati sopravvivrà.

Alessandro, intanto, giancendo inerte sul fondale, poteva sentire sul suo corpo le onde che gli spazzavano sul petto e sui capelli. Lentamente stava tornando sulla riva, spinto dal moto ondoso, ma lui non poteva sentirlo: disconnesso da ogni logica, Alessandro galleggiava nel blu. Quel silenzio ovattato gli sembrava miracoloso, incredibile; la prossima fase dell'evoluzione è tornare pesci, pensò, essere muti. E chissà se i pesci sentono il silenzio religioso in cui vivono, chissà che bello poter volare e scendere in picchiata ad ogni profondità, planare dall'alto sulle cose e vederle da ogni angolo. A portata di pinna.

Ricordatosi umano -e soprattutto mammifero-, Alessandro dovette riemergere per prendere fiato. Ancora, tornò nel suo guscio d'acqua e tentò ancora la metamorfosi. Sentì di nuovo sulla pelle il brivido elettrico della vita, quella vita vissuta in un volo dolce, lento, sospeso, assecondato dalle correnti sottomarine.
Ciò che Alessandro non poteva sapere, testardo lui, era che quel giorno non si sarebbe ricongiunto con la sua natura. Sarebbe tornato a casa da misero mammifero, ma sul cuscino lo aspettava già un sogno pronto per essere raccolto: una notte intera la avrebbe passata dormendo, per una volta, e addirittura sognando. Sognando di essere, finalmente, pesce.