venerdì 28 agosto 2015

Da' a me, riva.

Da' a me, riva
la tua accoglienza
per le navi di ferro e pensieri alla deriva;
aiutami a tenere le braccia aperte
verso la marea
e verso ciò che mi porta.
Da' a me, riva
il tuo sorriso
per chi stanco su di te arriva;
dammi la forza di sollevarli tutti
i tuoi figli
e di metterli nei loro letti.
Da' a me, riva
la tua sabbia
per essere dolce letto a chi prima senza cuscino dormiva;
tienimi il cuore caldo
il vento infame
mi vuole spegnere.. ecco ora è calato.
Da' a me, riva
un giaciglio dove trascorrere questa notte
piena di vento
piena di dubbi
piena di sogni
piena di stelle.
Ecco, riva,
ti pago l'affitto coi miei occhi
ti conto tutte le stelle nel cielo nero di questa notte
e se poi m'addormento, coprimi e perdonami.
Riproverò domani.

giovedì 27 agosto 2015

Fil di ruota

 Le vele erano gonfie e felici di seguire il vento, non rifiutavano la frizzante brezza marina che soffiava. Il vento soffiava con dolce insistenza e scompigliava i capelli lunghi e castani di Alessandro, che di tanto in tanto cercava di riordinare con una mano. Una giornata perfetta per uscire in mare con la sua modesta barca a vela.
Alessandro puntava all'Isola di San Pietro e non mancava molto ormai, era già in navigazione da un'ora circa.
Vide arrivargli incontro il profilo della costa, la spiaggia, la vegetazione. Un gabbiano volò con lui per qualche secondo, poi gli virò davanti e riprese la sua strada verso l'alto, verso il sole, le nuvole; quanto sarebbe piaciuto ad Alessandro avere un paio d'ali.
Il sole splendendo dritto sopra di Alessandro, segnava le due del pomeriggio, nessun'ombra si allungava attorno alla barca.
Il vento lo permetteva, Alessandro ci voleva provare e si sentiva tranquillo: voleva mettersi col vento in poppa, a fil di ruota. Spostò il timone con un lento movimento di braccio, ma costante, per arrivare dolcemente ad avere il vento completamente sullo specchio di poppa. Mosse il fiocco e fece in modo che fosse dal lato a dritta della barca, lasciando che la randa rimanesse lì di fronte a lui. Lascò le vele quel che bastava e iniziò a sentire il caldo sulla pelle, che fino a quel momento era mitigato dal vento che lo rinfrescava prendendolo lateralmente. Ora sarebbe bastato un minimo errore per perdere quell'andatura, la più difficile di tutte.
La Oceano, come aveva deciso di chiamare la sua barca, era una modesta bagnarola a vela da tre o quattro posti, ma governabile anche da soli nelle giuste condizioni atmosferiche. Un giocattolino che gli aveva regalato lo zio, la stessa barca che da piccolo per la prima volta lo aveva portato a solcare il mare e che aveva imparato a governare proprio grazie allo zio, approfittando del tempo libero che le vacanze da scuola gli lasciavano quando il mese di Aprile iniziava a finire.
Alessandro si stava godendo la pace del lieve planare della Oceano sul mare, un silenzio liquido che giusto ogni tanto si sentiva gorgogliare più forte quando prendeva un'onda un po' più alta.
Lo zio di Alessandro, zio Mario, gli diceva sempre "questa qui non ha bisogno di motore per correre, ha bisogno di un motore per fermarsi!", mentre dava una pacca allo scafo, sorridente. Il nome allora fu facile da scegliere per Alessandro: se non posso fermarla, la lascio andare fin dove vuole: l'oceano è casa sua, e io la voglio chiamare così, Oceano.
Lo sguardo di Alessandro era stato rapito dal gabbiano che poco prima lo aveva seguito, e che ora stava tornando indietro verso la barca. Volò proprio sulla testa di Alessandro, poi accelerò e andò verso la costa.
Ecco, la costa.
La mente di Alessandro si affollò di mille pensieri: il lavoro, gli amici, i parenti, gli appuntamenti, le scadenze, il passato e il futuro. Tutto era lì, ad aspettarlo sulla costa per saltargli di nuovo addosso. Ciascuno di quei pensieri aveva una sua maschera grottesca e paurosa, poteva vedere quelle facce deformate dalla collera, dall'ansia, dalla paura, sempre meglio man mano che si avvicinava alla costa. Il dolore era ora l'unica ombra che si allungava su Alessandro, era una condanna da vivere passo su passo sulla terra ferma. Angoscia, quanta angoscia sentiva Alessandro premergli il petto!
Non poteva respirare, si sentiva circondato da quella massa di pensieri e paure, li sentiva venirgli sempre più vicino fino a mettergli le mani al collo. Cercava una via di fuga nella sua testa da quella sensazione di oppressione, così contrastante con il senso di libertà che il mare gli aveva dato fino a quel momento. I suoi occhi vagavano disperati e senza una meta, sbattevano contro le pareti del cervello e rimbalzavano all'esterno, restituendo al viso di Alessandro uno sguardo iniettato di sangue e indomita ansia.
Alessandro iniziò a sentire il vento andargli di lato, aveva spostato troppo il timone e perso il fil di ruota, quella delicata andatura che lo faceva andare così rapidamente.
Sul fil di ruota, Alessandro aveva perso un equilibrio più importante di quello che gli teneva il vento in poppa; un equilibrio che lo aveva mantenuto sereno fino a quel momento, un equilibrio che lo distaccava dai suoi problemi e che lo stava, infondo, solamente preparando alla velenosa vista della costa. I suoi problemi erano più grandi di quanto ricordasse, più spaventosi, minacciosi. In fretta e furia assecondò la Oceano, che voleva strambare per fermarsi e mettere la prua al vento, ma la corresse con maestria e la portò ad andare col vento di traverso, così che il vento gli venisse dritto sulla faccia.
Si perse per strada un paio di lacrime e tanta sofferenza, ma il mare non lo abbandonò mai, lo riportò alla sua riva di partenza, sulla spiaggia davanti casa sua, l'unico luogo che i suoi problemi non riuscivano mai a raggiungere: troppo traffico anche per loro, o forse la stradina in cui abitava Alessandro non è sulle loro carte.. O forse era solo l'effetto dei tanti più numerosi bei ricordi che aveva in quella casa.
Si gettò sul letto dopo aver mischiato troppe volte la vodka con l'acqua tonica e le lacrime, e sì getto sul suo letto come si getta un sacco della spazzatura: senza pensar troppo a cosa si sta facendo e con un lieve senso di schifo, di sudicio, sporco.
Ore dopo Alessandro si svegliò in posizione fetale, il cuscino bagnato di lacrime e forse saliva o qualche rigurgito alcolico. Andò in bagno, si tolse di dosso la maglia, gli slip e aprì l'acqua.
Si stese nella vasca e aspettò che l'acqua tiepida lentamente lo ricoprisse. Prese a lavarsi con gesti lenti e meccanici, forzati quasi.
Improvvisamente lo rapì un lieve sonno, giusto un attimo che gli chiuse gli occhi e lo fece restare come in trance, adagiato con la schiena al lato della vasca. Sentì il corpo sbandare di lato, un vento inesistente soffiargli sul viso. E in un attimo quel vento immaginario che gli aveva fatto frescura sul viso lo riportò alla realtà.
Schiuse le labbra e disse, a metà fra quel sogno così leggero e la realtà, una frase che solo le sue stesse labbra riuscirono a sentire per quanto parlò piano. Disse soltanto "Non lasciarmi mai".
Poi il sonno lo strinse di nuovo nel suo abbraccio e Alessandro non fece resistenza.
La vasca intanto continuava a riempirsi senza controllo e la stanza si allagava dell'acqua a cui Alessandro fece la sua preghiera.
L'acqua, di tutta risposta, iniziò a sembrare salata ad Alessandro che si sentì, in cuor suo, rispondere con un dolce "Eccomi". Poi l'acqua che scorreva senza controllo si tolse le scarpe e prese ad adagiarsi attorno alla vasca più in silenzio.
Quella ascoltò il sogno dell'equilibrio che Alessandro tanto cercava standosene zitta, in terra. Qualche goccia diceva alla vicina tutta preoccupata che quello che lui sognava era difficile, quasi impossibile da ottenere. Equilibrio? Stabilità? Sarebbe stato come andare a fil di ruota con la Oceano, e senza timone per di più!
Ma la saggezza dell'acqua veniva sempre a galla e mai evaporava, nemmeno sotto il sole più cocente.
Quell'acqua rimase così in terra, ad ascoltare il sogno di Alessandro.
Il sogno sul fil di ruota.