giovedì 23 luglio 2015

E che la luce sia!

Il tramonto arrivava con il suo abbraccio dorato sulla scogliera, carezzava le cime degli alberi, faceva risplendere le finestre delle case affacciate sul mare. Alessandro camminava lungo il sentiero di ghiaia a ridosso della scogliera a piedi nudi, senza curarsi dei ciottoli e delle pietre che gli facevano male; soltanto talvolta si fermava per togliersi un sassolino fastidioso che gli faceva del male, poi riprendeva a camminare.
Mentre camminava, Alessandro vide due gabbiani rincorrersi in cielo e sorrise. Pensò di farsi un bagno, ma non voleva rompere quell'ordine perfetto che aveva la superficie immobile dell'acqua, preferì guardare seduto su uno scoglio ancora un po' i gabbiani che si rincorrevano; si sedette sulla scogliera.
In lui, però, s'accresceva un senso di tenebra, di freddo dolore, come se una lama ghiacciata gli stesse tagliuzzando l'anima, e più il sole calava più questa tenebra lo permeava. Dapprima questo senso di cupo dolore era un lieve fastidio al petto, poi iniziò a diffondersi in tutto il corpo, come se fosse pompato dal cuore in tutte le direzioni, ovunque ci fosse anche solo una goccia di sangue. Il sole continuava a calare, il suo tuffo nell'orizzonte era quasi a metà.
Alessandro continuava a seguire i gabbiani, fin quando non si adagiarono in acqua. Si alzò lentamente dopo essersi sistemato la piega ai jeans e fu in quel momento che si meravigliò dell'ordinario; fissò, rialzandosi, la sua ombra. Sentì una fitta al petto quando la mise a fuoco stando in piedi, gli sembrava il corpo di un alieno: così esile, allungata, slanciata...
Provò a vedere l'ombra come semplice fenomeno fisico, ma non poté trattenere la sua fantasia: perché l'ombra è proprio nera? Forse, pensò, l'ombra è bianca quando nasciamo e noi la sporchiamo camminandoci sopra coi nostri stessi passi, ma anche con i nostri cattivi pensieri.
Alessandro allora prese il suo quadernetto e iniziò a pensare ad ogni passo che aveva fatto sulla sua ombra, ad ogni piccola lite, pensiero cattivo che aveva fatto. Lentamente sentì un peso sull'addome farsi comunque più insistente, pressante. La scrittura si fece più stretta, confusa, la pancia era contratta e il respiro era confuso e affannato come dopo un pugno preso proprio sotto lo sterno.
Le fitte scuotevano così tanto il suo corpo dalla testa ai piedi, che Alessandro si lasciò andare in un lievissimo pianto di dolore: nulla di evidente, appena una o due lacrime, ma erano cariche di amarezza, dolore, rimpianto, rabbia, così tanto cariche di sofferenza che avevano perso il lieve sapore di sale che hanno le lacrime.
Al calar del sole, l'ombra di Alessandro tornava ad essere un tutt'uno con lui e tutta la sofferenza che aveva raccolto durante la giornata, tutto quello che aveva raccolto e che la avevano resa nera e scura, lo feriva sempre più nel profondo man mano che il sole cedeva il passo alla sera ed al buio.
Quando l'ultimo raggio di sole aveva trafitto gli stanchi occhi grigi di Alessandro, l'ombra si era completamente riunita al corpo del suo padrone. Per un attimo il dolore aveva smesso di esistere, poteva respirare ancora, il petto si gonfiava senza dolore, il cuore batteva sollevato.
A salvare Alessandro da quello strazio era stata l'illuminazione pubblica, che debolmente aveva separato di nuovo l'ombra e Alessandro.
Ricacciati dentro, anzi fuori, quei momenti di strazio e dolore, quelle fitte di ansia e angoscia, Alessandro poté camminare di nuovo verso la sua moto. Ora camminare era diventato però uno slalom fra i bagliori dei pali della luce, non voleva restarne lontano più. Alessandro avanzava a lunghi passi nella direzione dalla quale era venuto, ma non ce la faceva ancora a correre: era come se si fosse reso conto solo in quel momento del peso che i suoi muscoli trascinavano ogni giorno, sentiva che avrebbe potuto lanciarsi giù da un ponte e affogare usando come peso anche solo la sua ombra, se avesse potuto, perché sarebbe bastata.
Alessandro arrivò alla moto qualche minuto più tardi, infilò di fretta il casco, mise in moto e partì veloce verso casa. Il vento gli spazzava via dal viso delle lacrime che sembrava volessero fuggire dai suoi occhi senza un motivo apparente, così lui accelerò per non sentirle staccarsi dal viso.
Percorreva la strada sgombra, ormai, senza sapere a cosa pensare. Si ritrovò davanti casa mezz'ora dopo con la convinzione che il tempo si fosse fermato, completamente svuotato da ogni emozione e colorito in viso. Aprì la porta di casa, andò in soggiorno e si lasciò cadere sul divano ancora tutto vestito.
Con gli occhi fissi al soffitto, Alessandro rimase a pensare a lungo, poi prese il suo quadernetto dallo zaino e iniziò a scrivere mettendosi a sedere al tavolo.

"Oggi mi hanno pugnalato, ma senza usare un coltello. Mi hanno insultato, ma senza parole. Mi hanno fatto piangere, ma senza farmi spendere lacrime per loro. E io ho fatto lo stesso con altri, ho sporcato la mia ombra, l'ho pestata, malmenata, torturata.. e lei mi ha punito, stasera, tornandomi dentro all'imbrunire. Lo stupore della sera, della luna e delle stelle alte in cielo dopo il tramonto ancora non mi abbandona: riaprire gli occhi dopo tanta sofferenza restituita è come essere penetrati da un freddo cucchiaio che ti svuota la pancia, ma che ha la sadica idea di lasciarti soffrire, così si muove lentamente dentro di te."

Poi Alessandro iniziò ad addormentarsi, come cullato dai suoi pensieri, e finì col poggiare la fronte sulle pagine del suo quadernetto trasformandole in cuscini.
L'ombra, commossa, lo vide addormentarsi sulle carte e si tolse le scarpe, si slegò un attimo dai piedi di Alessandro solo per potersi avvicinare di più al suo viso. Alessandro riposava tanto dolcemente che la sua ombra non volle disturbarlo entrandogli nei sogni, preferì lasciarlo riposare.. era stata cattiva con lui, gli aveva mostrato il lato crudele e pieno di sofferenza della natura dell'uomo. Ora toccava al sogno risanare certe ferite del cuore e dello spirito, ora toccava al cuore ripulire il sangue da quella amarezza che lo aveva pervaso, contaminato, avvelenato.
L'ombra si stese ai piedi di Alessandro e gli tornò legata, dormiva anch'essa.
E poi sarebbe toccato alla vita risvegliare Alessandro il mattino dopo, con un raggio di sole che lo avrebbe colpito dritto in faccia per fargli sorridere di nuovo al cielo, facendogli sentire quel tepore simile alla forza; avrebbe sentito di nuovo vivo il sangue sotto la sua pelle.
E che luce sia!

lunedì 20 luglio 2015

Un sorriso del cielo è il pianto di un uomo

Alessandro si ritrovò coi pensieri e con gli occhi a vagare fra miliardi di stelle, steso a terra sulla sabbia fredda. Gli occhi sbattevano contro un aereo di passaggio ogni tanto; qualche insetto gli si posava sul viso, sulle braccia, sulle gambe, e lui lo scacciava.
Alle stelle poteva fare qualsiasi domanda, in qualche modo il loro brillare sapeva gli avrebbe risposto. Scelse le parole con cura, non vole
Schiudendo le labbra dopo minuti di silenzio, mormorò appena con la voce impastata dal sonno la semplice domanda "Dove sei, amore?".
Le stelle tremarono tutte insieme, scrollarono le spalle. La nonna gli diceva sempre che se due amanti guardano la stessa stella, anche se sono a chilometri e chilometri di distanza, possono sentirsi come seduti vicini, possono sfiorarsi con le mani, guardarsi quasi negli occhi se proprio in quel momento la luna piena li nota mentre si cercano in qualche angolo di cielo, e li avvicina.
Ma in quella sera, come in tutte le altre sere, non trovò una stella che gli rivolgesse un sorriso, che gli desse una risposta. Quella domanda restò ancora una volta senza risposta. 
I lampioni nel giardino di una villa vicino al mare rischiaravano qualche metro di sabbia, quanto bastava perché Alessandro potesse vedere cosa aveva attorno. Si alzò, e da sdraiato passò a stare seduto con la schiena contro il muricciolo della villetta coi lampioni, per godere di più di quella luce. La bottiglia di rosso che s'era portato dietro da quando era uscito dalla sua villetta sul mare era sempre più vuota, il fondo era sempre più visibile. Riusciva a scrivere appena poche parole, poi strappava il foglio dal suo quadernetto e gettava via quella bozza. Sentiva le guance sempre più rosse e calde, lo scuoteva un po' la tosse, ma lui si preoccupava di più della penna e delle stelle.
In mezzo alle sue righe che si riempivano a tratti di parole d'odio, a tratto di parole d'amore, compariva la parola "stelle" con una cadenza preoccupante. Stelle, stelle, che volete da me? Dai voi volevo una risposta sola, trovare due occhi che guardassero dove guardo io.. e tremate, invece.
Erano le 3 di notte, o forse è più giusto dire di mattina, che Alessandro si abbandonò un poco sulla sabbia, lasciò il blocco e la penna. Una pioggia di stelle cadenti si staccò dal manto della notte e fece il suo carosello davanti agli occhi di Alessandro, lasciandogli dentro un certo senso di pace.
Un'ora dopo, forse due, Alessandro dormiva sulla sabbia. Scrisse qualche riga che ebbe solo la forza di strappare dal blocco per appunti, ma che gli sfuggì via con un soffio di vento dalle mani quando cadde, esausto, in un dolce sonno. Ora c'è un foglio bianco e spiegazzato, pieno di disegni e ghirigori, che vaga per le strade del centro, per i cieli grigi della città.

"Una stella cadente mi ha detto, venendo verso terra, dove sei. Mi ha guidato qui dove l'avrei vista cadere per segnalarti prima ancora che chiedessi al cielo, per l'ennesima notte, dove tu sia. E ti ho vista rispendere nella luce fioca del tuo telefono, mentre scrivevi alla tua amica di aver visto una stella cadente. Ti ho vista bene, ti verrò a prendere domattina. Non so come farò, non so dove sarai, dove sarò io, ma adesso che ho visto una pezzo di cielo lanciarsi nell'atmosfera, morire per dirmi dove sei, sono pronto a tutto, anche a farmi guidare dal cuore alla cieca. Ora che ho visto sorridermi il cielo, piango di gioia; supererò ogni tipo di corrente che mi allontani da te, ho disegnato il tuo profilo sulla sabbia ormai, la mia memoria non lo scorda. Già mi immagino la scena; tu davanti a me, io che ti rincorro e ti fermo dal braccio, sussulti e ridiamo insieme un po'. Adesso quest'amore è tutto quello che mi contiene. O forse è solo il delirare di un mezzo ubriaco..
Il rumore della luce di un lampione che scoppia, frammenti di plastica a terra. Sarebbe più poetico se a cadere fossero pezzetti di vetro, ma per questa notte di plastica, con la luna così tonda, e bella, da sembrare fatta da un orefice, forse va anche bene così. Fra un pensiero e l'altro, una fantasia e un'onda di sonno, cullati dolcemente fino a non sentire più in testa le parole di questa buonanotte.
Buonanotte di plastica."

Quelle parole se le portò via il vento, e Alessandro si svegliò il mattino dopo con due cose in testa, prepotentemente fisse proprio al centro della sua testa: una gran confusione e un fortissimo mal di testa. Raccolse le sue poche cose, gettò la bottiglia vuota e qualche bozza appallottolata per il nervoso nella pattumiera, rimise le scarpe e andò via. Salì in moto ma era così distratto dal mal di testa che non si rese conto che quella che aveva imboccato non era la strada per casa.